Mozart – Quartetti per archi e pianoforte
I quartetti per Archi e Pianoforte di W. A. Mozart
Quartetto Kv 493 in mi bemolle (giugno 1786)
Allegro – Larghetto – Allegretto
Quartetto Kv 478 in sol (ottobre 1784)
Allegro – Andante, Rondò – Allegro moderato
IL TETRAONE:
Ana Liz Ojeda, violino
Alice Bisanti, viola
Paolo Ballanti, violoncello
Valeria Montanari, fortepiano
I DUE QUARTETTI PER PIANO E ARCHI DI MOZART
Tra gli organici di musica da camera, quello per pianoforte e archi (violino, viola e violoncello) non è tra i più frequenti neppure nella piena espansione dell’Ottocento, dove si contano pochi pezzi isolati, e ancor meno lo era ai tempi di Mozart, allorché il pianoforte veniva per lo più abbinato all’orchestra (anche da camera) nel genere del Concerto, e gli archi si disponevano in formazioni omogenee, come il Quartetto e il Quintetto, l’una e l’altra variamente ma diffusamente impiegate da Mozart stesso, o tutt’al più al pianoforte si aggiungevano uno (Sonata) o due archi (Trio). Quando, nel 1778, l‘abate Joseph Vogler compose il primo Quartetto per pianoforte, violino, viola e violoncello di cui si abbia notizia, il quartetto per archi soli aveva già alle sue spalle una storia comprendente, ad esempio, i Quartetti del Sale di Haydn. Fu così che nell’autunno del 1785, al quinto anno della sua carriera di libero professionista, Mozart, un vulcano in perpetua eruzione, che investiva il mercato con gigantesche colate di musica (scriveva per vivere, e scriveva per il pubblico), scrisse il Quartetto K478 probabilmente pensato non come oasi dello spirito, ma come fonte di guadagno, come novità che avrebbe incuriosito i capricciosi viennesi. Il rapporto tra i quattro strumenti é impostato e mantenuto da Mozart, sin dall’inizio, su un piano di pariteticità, con impiego di tutte le tre possibili combinazioni: quattro strumenti assieme, pianoforte alternato o contrapposto al gruppo degli archi, discorso polifonico a quattro. La difficoltà tecnica è uguale per tutti gli strumenti: solo molto raramente (ad esempio, alla fine del primo tempo e in qualche momento del finale) il pianoforte sfoggia un virtuosismo più da concerto che da musica da camera. Alla viola, che Mozart prediligeva (la suonava volentieri quando eseguiva in famiglia quartetti per archi), ma che ai suoi tempi non aveva ancora avuto un grande sviluppo tecnico, viene attribuito un ruolo non inferiore di quello del violino. L’Allegro iniziale è costruito secondo lo schema del cosiddetto allegro di sonata o forma-sonata, con primo tema, transizione, secondo tema, conclusione, e con una tripartizione generale comprendente esposizione, sviluppo, riesposizione. Il secondo tempo, come di solito accade con il Mozart dei primi anni viennesi, é un Andante invece di un Adagio. La forma è quella dell’allegro di sonata senza sviluppo, ed il carattere espressivo, sereno e disteso, si incupisce appena in un breve inciso del secondo tema. Il finale è un Rondò assai ampio, in cinque episodi, con uno sviluppo al posto di un vero e proprio terzo tema. La fusione fra la dimensione cameristica del Quartetto d’archi e il virtuosismo del Concerto per pianoforte si realizza dunque per una terza via, assolutamente inedita e personale. Il Quartetto K 493, in mi bemolle maggiore, ha invece un carattere più sereno e si avvicina in maniera ancor più esplicita alla scrittura concertistica rispetto quella cameristica. Nel primo tempo il compositore aggiunge al secondo un terzo tema, accrescendo così i motivi di varietà e di interesse, e rinunciando perciò alla compattezza formale . Il tono diventa subito più discorsivo e colloquiale, e anche la scrittura quartettistica é meno complessa. Più denso di contenuti musicali, e di ricca scrittura é il secondo tempo, in serrata forma-sonata con coda. Il finale è basato su un tema principale a modo di gavotta, che ricorda certe pagine mozartiane di ispirazione rococò, e strutturate in quella forma di rondò molto sviluppato che Mozart usa spesso nei finali dei Concerti per pianoforte.